“Scrivi un breve testo sul tuo luogo
della memoria”. Aiuto!
Non appena è stata fatta questa
richiesta a lezione, mi sono messa a pensare a quale luogo avrei dovuto
scegliere, perché ogni posto, vecchio o nuovo, che mi ha comunicato una qualche
emozione per me diventa un luogo della memoria, un luogo da portare dentro e da
non dimenticare.
Questa volta, però, mi sono resa conto
che dovevo andare a cercare qualcosa di più profondo, qualcosa che avesse avuto
la forza di imprimere in me un timbro, un posto calamita della mia anima.
Ho iniziato, metodicamente, a stilare
una lista di posti che considero “del cuore” e alla fine ho capito che l’unica
cosa che c’era da fare era tornare alle mie origini.
Non sono di Roma, mi sono trasferita per
studiare, tuttavia ho la fortuna di non essere troppo distante dal luogo da cui
provengo, così, una volta scelto il mio luogo, ho deciso improvvisamente di
prendere un treno e raggiungerlo fisicamente per riviverlo anche solo per mezza
giornata: sono andata nella vecchia casa di mia nonna, dove ho vissuto fino a
circa cinque anni.
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Sui binari della mia cittadina |
La casa si trova in una piccola contrada
di Fondi (LT) chiamata da tutti “madonna degli angeli”, questa è la prima casa
che mio nonno è riuscito a comprare con i guadagni di una vita, qui è nata mia
madre e i suoi fratelli, qui mi sento come in un piccolo rifugio dove il tempo
si è fermato e respiro tenerezza, tranquillità e odori dell’infanzia.
Attraverso il giardino che ormai non c’è
più, perché ora non ci vive nessuno ed è più che altro un appoggio per le
troppe cose che si hanno accumulate e che devono essere portate da qualche
parte, ricordo quando piantavo i fiori ogni primavera e la terra fredda sotto
le mani che poi dovevo lavare più e più volte;
salgo la scala principale esterna, quella dove giocavo sempre con i
gatti di nonna in un sali e scendi continuo e arrivo al portone, con ancora i
vecchi campanelli e, dopo essere entrata, salgo nuovamente dalla scala interna
per giungere all’appartamento. Ho un attimo di esitazione, a volte i ricordi
non portano solo sorrisi, ma anche nostalgia e malinconia.
Entro e ritrovo l’estrosa carta da parati fiorata e
colorata che amavo toccare e osservare per ore per tutto il lungo corridoio su
cui poi sono distribuite le stanze. Entro nella cameretta che era di mia madre
e mia zia e ritrovo il letto dove spesso mi mettevo vicino a loro a disegnare
per passare il tempo mentre studiavano, vedo un vecchio mobile che nonna aveva
voluto fosse realizzato a mano da un falegname e ricordo che in uno di quei
cassetti prendevo di nascosto una collana di perle e me la rigiravo tra le dita
entusiasta. Proseguo in cucina, dove mi veniva preparata la merenda, i mobili
sono vecchi, ormai un orrore per il gusto moderno, ma quando era vissuta quanta
gioia in una stanza così piccola e semplice! Quando esco mi soffermo su una
rientranza nella parete: è li che era posizionata una piccola stufa, oggetto
dei racconti di mia madre ancora oggi... Era la stufa (accesa) che sono
riuscita a superare come ostacola nel percorso, all’età di poco meno di due
anni quando da sola ho camminato senza che nessuno se ne accorgesse. Poi il
salone per gli eventi, con la tastiera che suonava mio zio ogni domenica e la
vetrina con i liquori di ogni genere che sprigionava un odore particolare che è
difficile da dimenticare e la sala da pranzo con il grande camino e il piccolo,
ormai unico reduce, ceppo di legno fatto da mio nonno, dove ci si sedeva per
scaldarsi vicino il fuoco, passare il tempo, raccontare storie o semplicemente
preparare la verdura per il pranzo o la cena.
Sicuramente uno dei miei posti preferiti
di quella casa, un posto del cuore nel posto del cuore, è il terrazzo sul
tetto, accessibile dalla scala esterna anche per i miei zii che vivevano di
sotto, tramite una rampa che da che io ricordi è sempre stata al grezzo, senza
ringhiera e che mia nonna mi faceva salire solo dopo di lei e con tutte le
dovute cautele. Una volta arrivata lì però, mi sentivo padrona del mio piccolo
mondo, mentre lei stendeva il bucato ai lunghi fili io osservavo il piccolo
panorama che mi si presentava, i tramonti estivi, le lenzuola bianche che
profumavano e che al vento sembravano volare o solo semplicemente la strada e
la vita che vi trascorreva tranquilla.
Quando sono uscita ho avuto una ventata
di ricordi che hanno rafforzato l’imprinting che ricordo da sempre aver avuto
con questo luogo e mentre tornavo a Roma, ho confermato la mia teoria sul
fatto che l’Architettura, qualunque essa sia, di qualsiasi genere e
funzionalità, può andare oltre il concetto di bello o brutto, costoso o
economico, l’Architettura per me è tale quando coniuga le cose sopraelencate
alla trasmissione di sensazioni, valori, emozioni, che anche se soggettive,
contribuiscono a renderla viva e a farla diventare vissuta, che è quello che
può darle un valore aggiunto, così come la mia vecchia casa, ormai un po’
sgangherata, ma che forse riuscirebbe (nel bene o nel male) a suscitare un
sorriso anche ad un “estraneo”, con il suo interruttore della luce con scritto
“LUCE”, le vecchie fotografie ovunque e gli imbarazzanti lampadari
decorati.
Io vorrei creare un’architettura che
comunichi con lo spazio e l’ambiente circostante, che sia aperta, libera e
fruibile da tutti come la mia terrazza sul tetto, ma che sia anche un rifugio,
con una certa dose di intimità e protezione per chi la vive quotidianamente,
come la cucina o la sala da pranzo con il camino e il suo ceppo.
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